Ci risiamo, come ogni anno, anche queste vacanze estive, sono servite a Bossi, per smuovere il popolo padano dall’immobilismo estivo.
Abbiamo dovuto sopportare infatti, le ormai scontatissime fresconate sull’inno di Mameli, su Roma ladrona e sull’insegnamento del dialetto nelle scuole.
Sull’inno di Mameli per fortuna, non dobbiamo approfondire l’argomento, l’hanno fatto per noi, quasi tutte le forze politiche dell’arco parlamentare, che in quest’occasione ci sentiamo di appoggiare pienamente : Non si tocca !
Abbiamo dovuto sopportare infatti, le ormai scontatissime fresconate sull’inno di Mameli, su Roma ladrona e sull’insegnamento del dialetto nelle scuole.
Sull’inno di Mameli per fortuna, non dobbiamo approfondire l’argomento, l’hanno fatto per noi, quasi tutte le forze politiche dell’arco parlamentare, che in quest’occasione ci sentiamo di appoggiare pienamente : Non si tocca !
Per quanto riguarda il capitolo su Roma ladrona invece, saremmo curiosi di sapere che mestiere sarebbe mai capace di svolgere il caro “Senatur” se dovessimo schiodare il suo sedere dalle comode poltrone del Parlamento, che occupa ormai ininterrottamente da decenni ! Bella domanda vero ? Visto poi, che Bossi, in un modo o in un altro, è uno dei principali attori di governo negli ultimi 15 anni almeno, tolte brevi parentesi di sinistra, ci chiediamo cosa abbia fatto di concreto per rimediare al malcostume che lamenta… Non è forse che urlare allo scandalo romano, gli torni comodo per aizzare gli ingenui ?
Purtroppo sull’insegnamento del dialetto a scuola, abbiamo un brutto sentore.
Il provvedimento potrebbe passare, quale contentino di Berlusconi per rinsaldare l’utile amicizia con la Lega, e servirà a Bossi per dare la “carota” ai propri elettori.
Ho scritto carota, perché è risaputo che la si da agli asini ! Senza insultare nessuno, proporrei una riflessione al popolo padano…
Il dialetto al contrario della “Lingua”, è così definito per evidenziare un idioma locale che non possiede uniformità di termini e regole grammaticali su tutto il territorio.
Andando nello specifico, ed essendo piemontese, faccio rilevare quanto segue.
A Torino, pur non essendo la città, una megalopoli di svariati milioni di abitanti, si avvertono differenze nella parlata dialettale già tra i diversi quartieri “storici”, quali Crocetta o Barriera di Milano. Appena fuori città, chi vive a San Mauro (siamo oltre Po, alle pendici della collina sotto a Superga, parla in modo sensibilmente diverso da chi risiede a Gassino… parliamo di una distanza di appena 10 km.
Non sto a descrivere le differenze di idioma tra Torino in generale e Saluzzo, dove si usa terminare i vocaboli con la consonante “S”. Oppure a citare le differenze di parlata tra Bra e Alessandria, dove a modo loro e del tutto differenti fanno a gara per mangiarsi le parole, in una pronuncia strettissima.
Alba, diverso da Asti, ed ambedue diversissime da Biella dove risiedo attualmente.
Ma Biella è ancora diversa da Arona sul Lago maggiore, dove l’inflessione della pronuncia e l’uso di particolari termini, manifestano ormai una vicinanza territoriale con le vicine Province lombarde.
Insomma, c’è uno “studioso” in merito, che può illuminarci circa il dialetto che si vorrebbe insegnare nelle scuole del Piemonte, o dovremmo accontentarci di un dialetto a caso alimentando anche localmente il caos imperante ?.
Se qualcuno pensa di propinarci per questioni politiche un dialetto unificato, sappia in partenza che nessuno può pretendere questa assurdità senza passare per un idiota.
Del resto sono esperimenti già tentati in Trentino con la parlata Dolomitan, creata a tavolino per compiacere la voglia di autonomia del gruppo politico locale, ma rigettata dalla stessa gente gelosa giustamente delle sue particolarità, paese per paese. Stessa sorte ha avuto l’iniziativa dell’ex Governatore Soru in Sardegna…
La bellezza dei dialetti infatti, sta proprio nella loro estrema variabilità, che sarebbe un peccato buttare per il vezzo di qualche politico a caccia di notorietà.
Ricordiamo inoltre che sarebbe più opportuno in una società fortemente eterogenea come quella attuale (italiani immigrati da altre regioni ed una sempre crescente percentuale di extra comunitari presenti nel nostro paese ) insistere sull’insegnamento ed il corretto utilizzo della lingua italiana. Non farebbe male una ripassatina anche ad alcuni politici nazionali.
Due piccioni con una fava verrebbe da scrivere, un maggiore e corretto utilizzo da parte di tutti, allontanando nel contempo il pericolo degli “inquinamenti” da parte di termini di derivazione anglosassone, davvero orribili ed umilianti.
Augurandoci quindi, che i dialetti Piemontesi, proprio per la loro tutela, non siano MAI riconosciuti lingua, restiamo in attesa di lumi.
Purtroppo sull’insegnamento del dialetto a scuola, abbiamo un brutto sentore.
Il provvedimento potrebbe passare, quale contentino di Berlusconi per rinsaldare l’utile amicizia con la Lega, e servirà a Bossi per dare la “carota” ai propri elettori.
Ho scritto carota, perché è risaputo che la si da agli asini ! Senza insultare nessuno, proporrei una riflessione al popolo padano…
Il dialetto al contrario della “Lingua”, è così definito per evidenziare un idioma locale che non possiede uniformità di termini e regole grammaticali su tutto il territorio.
Andando nello specifico, ed essendo piemontese, faccio rilevare quanto segue.
A Torino, pur non essendo la città, una megalopoli di svariati milioni di abitanti, si avvertono differenze nella parlata dialettale già tra i diversi quartieri “storici”, quali Crocetta o Barriera di Milano. Appena fuori città, chi vive a San Mauro (siamo oltre Po, alle pendici della collina sotto a Superga, parla in modo sensibilmente diverso da chi risiede a Gassino… parliamo di una distanza di appena 10 km.
Non sto a descrivere le differenze di idioma tra Torino in generale e Saluzzo, dove si usa terminare i vocaboli con la consonante “S”. Oppure a citare le differenze di parlata tra Bra e Alessandria, dove a modo loro e del tutto differenti fanno a gara per mangiarsi le parole, in una pronuncia strettissima.
Alba, diverso da Asti, ed ambedue diversissime da Biella dove risiedo attualmente.
Ma Biella è ancora diversa da Arona sul Lago maggiore, dove l’inflessione della pronuncia e l’uso di particolari termini, manifestano ormai una vicinanza territoriale con le vicine Province lombarde.
Insomma, c’è uno “studioso” in merito, che può illuminarci circa il dialetto che si vorrebbe insegnare nelle scuole del Piemonte, o dovremmo accontentarci di un dialetto a caso alimentando anche localmente il caos imperante ?.
Se qualcuno pensa di propinarci per questioni politiche un dialetto unificato, sappia in partenza che nessuno può pretendere questa assurdità senza passare per un idiota.
Del resto sono esperimenti già tentati in Trentino con la parlata Dolomitan, creata a tavolino per compiacere la voglia di autonomia del gruppo politico locale, ma rigettata dalla stessa gente gelosa giustamente delle sue particolarità, paese per paese. Stessa sorte ha avuto l’iniziativa dell’ex Governatore Soru in Sardegna…
La bellezza dei dialetti infatti, sta proprio nella loro estrema variabilità, che sarebbe un peccato buttare per il vezzo di qualche politico a caccia di notorietà.
Ricordiamo inoltre che sarebbe più opportuno in una società fortemente eterogenea come quella attuale (italiani immigrati da altre regioni ed una sempre crescente percentuale di extra comunitari presenti nel nostro paese ) insistere sull’insegnamento ed il corretto utilizzo della lingua italiana. Non farebbe male una ripassatina anche ad alcuni politici nazionali.
Due piccioni con una fava verrebbe da scrivere, un maggiore e corretto utilizzo da parte di tutti, allontanando nel contempo il pericolo degli “inquinamenti” da parte di termini di derivazione anglosassone, davvero orribili ed umilianti.
Augurandoci quindi, che i dialetti Piemontesi, proprio per la loro tutela, non siano MAI riconosciuti lingua, restiamo in attesa di lumi.
17.08.2009 - Alberto Conterio
Pubblicato su Politicamentecorretto.com 18.08.2009
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