Interviste ad Alberto Conterio

giovedì 7 maggio 2009

Ma quale egemonia lombarda ?

Sul Corriere della Sera di ieri 06.05.2009, leggo l'articolo di Ernesto Galli della Loggia sulle Cinque Giornate di Milano, rintracciabile al seguente link

In esso risulta evidente il criterio di addossare al Risorgimento le colpe dell’attuale situazione di “disordine” civile, morale e culturale presente in tutta Italia e quindi anche in Lombardia. Esso risponde alla necessità di allontanare la riflessione dalle cause vere da ricercarsi nell’evoluzione avuta dal dopoguerra dalla nostra società. E’ chiaramente un criterio che risponde alla collaudata esperienza repubblicana di addossare preventivamente ad altri le proprie colpe prima di aprire un dialogo, soprattutto quando a questi risulta impedita la difesa.
In questo specifico caso, si utilizza un capitolo della gloriosa Storia del nostro Paese a proprio uso e consumo. Se è vero infatti che noi oggi, siamo il risultato di una storia passata, è anche vero che non possiamo riscrivere solo la parte di Storia idonea a giustificare il risultato che ci siamo posti, fingendo nel contempo di dimenticare la parte di Storia “scomoda”.
Questa però, è l’operazione tentata dal Sig. Galli della Loggia con quest’articolo.
Tentativo tanto meschino quanto riuscito in un Paese - l’Italia repubblicana - che grazie ad istituzioni “complici e interessate” attecchisce su rilevanti fasce della popolazione ormai minata nella sua identità ed unità da decenni di bugie e falsità vergognose !
Noi non possiamo negare l’importanza delle Cinque Giornate di Milano nella globalità del fenomeno Risorgimento, ma mentiamo a noi stessi se affermassimo che questi moti popolari – diversamente gestiti da come lo furono - avrebbero potuto condurre ad una Storia diversa e più vantaggiosa per la stessa Milano.
Quando Carlo Cattaneo scrive «L’esercito e il paese non furono più nostri; le sostanze nostre, la vita e l’onore furono in arbitrio altrui» lo fa chiaramente dettato dalla sua personale avversione verso Casa Savoia. Sono le sue stesse parole infatti che lo screditano : quando mai Milano in quegli anni poteva contare su un esercito, finanze ed istituzioni sue ? L’arbitrio del suo onore, non risiedeva forse a Vienna ?

Utopica quindi questa presunzione di una Milano che potesse avere una egemonia in quella fase storica, perché nessuno ai fini pratici l’ebbe davvero, e non avrebbe potuto andare diversamente, visti i rapporti di forza in campo !

Risulta palese quindi che i “Moderati” presero in quell’occasione la più pragmatica delle decisioni, rimettendosi nelle mani dell’Unico Stato Indipendente d’Italia in grado di portare avanti la lotta contro lo straniero aldilà delle sconfitte in un disegno fattibile di continuità al fine di raggiungere l’agognata indipendenza.

Dovrebbe anche essere chiaro a chiunque che i numerosissimi tentativi di questi sedicenti “Democratici popolari” – Mazziniani – furono una lunghissima serie di moti, sommosse, battaglie cittadine e rivoluzioni, tutte fallite nel sangue e nell’umiliazione a Milano come in ogni altra parte d’Italia prima e dopo il 1848, Non vi fu mai insomma la seria possibilità di raggiungere un risultato duraturo autonomo, fino a quando le Armi e la Diplomazia Sabauda non presero le redini della situazione.
Ciò non è solo confermato dalle stesse parole ed azioni di importanti rappresentati di questa categoria dirigenziale, ma addirittura invocato. Fu lo stesso Felice Orsini dopo anni di fallimenti come seguace di questa chimera a dichiarare in una lettera al Conte di Cavour nel 1857 “…convinto per triste esperienza che senza grandi mezzi non si può cacciare dall’Italia un nemico potentemente organizzato, convinto che i parziali e meschini movimenti valgono soltanto a smembrarci, io sono pronto a dar mano a quel governo italiano il quale metta a disposizione della nazionale indipendenza i suoi mezzi e la sua armata…”

Il ruolo nel Risorgimento di Milano quindi, non deve essere considerato secondario per colpa di scelte sbagliate, ma deve essere considerato valido entro l’equilibrio che si poté raggiungere tra le varie forze disponibili, che in modo del tutto naturale valutarono nel Piemonte Sabaudo la guida più sicura per un cammino certamente rischioso che richiedeva oltre all’entusiasmo ed alla buona volontà, una salda organizzazione.
L’ipotesi di trattare un diverso coinvolgimento di Milano nel processo di Unificazione nazionale, ha quindi il valore di una pura esercitazione postuma, perché di fatto la classe dirigente, le forze armate, l’economia, e le istituzioni libere di Milano nel 1848 non esistevano. Diversa invece la situazione in altre regioni, come la citata presenza attiva Toscana e anche Napoletana.

Devo inoltre registrare le contraddizioni contenute nelle parole finali dell’Articolo.
In esse si asserisce che Milano e la Lombardia non hanno avuto una parte corrispondente al loro rilievo, essendo la regione e la città più importante d’Italia.
Mi sento di affermare che ciò, è un tantino azzardato. Senza scendere in analisi socio economiche particolareggiate, ricordiamo soltanto che Milano e la Lombardia erano a quel tempo uno dei pochi territori NON liberi anche a livello amministrativo dell’intera penisola. Questo, voleva forse dire qualcosa… No ?

Concludendo, l’attuale situazione di sfascio, non può essere attribuita alle cattive scelte del Risorgimento, perché riteniamo che il tempo e le occasioni avute dal dopoguerra ad oggi avrebbero in questi anni potuto ribaltare una situazione negativa. Piuttosto va invece ricercata nella connivenza della nuova classe dirigente formatasi in questi anni, che al contrario dei Moderati di allora, ha tratto da queste istituzioni repubblicane il massimo profitto possibile “scaricando” nel contempo al proprio destino Milano ed il suo territorio !

07.05.2009 - Alberto Conterio

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