Fine di un’illusione
Ricordo chiaramente quando, vent’anni fa, discutendo tra
amici le prime avvisaglie di ciò che sarebbe poi diventata la globalizzazione
dei mercati e il concretizzarsi dell’Unione Europea, unico contrario fin da
allora, fui tacciato d’essere un retrogrado, che non comprendeva il fatto che
il mondo stava andando avanti, offrendoci una serie infinita di possibilità
prima sconosciute, che occorreva saper cogliere, mentre io ero fermo a
guardarmi alle spalle. Da quel giorno, evitai sempre accuratamente di tornare
sull’argomento per evitare di rovinare quelle amicizie ma… giustamente il mondo
è andato avanti appunto.
Recentemente, sono
quindi tornato a pensare a quel periodo e a quelle discussioni.
Pur dispiacendomi di aver avuto ragione, facendo qualche
rapido confronto, appare evidente che nessuno dei miei saccenti amici, ha
tratto evidente vantaggio delle infinite possibilità offerte dal nuovo corso
economico intrapreso. Per dirla in parole povere, nessuno di loro… è riuscito
anche solo ad avvicinare il livello di benessere economico proprio, ai valori raggiunti dalla generazione
precedente. Un fallimento totale della nostra generazione quindi, che alla
soglia dei cinquant’anni di età, ci vede ancora tutti incerti, anzi, sempre più
incerti sul nostro futuro e sulle possibilità di offrire ai nostri figli, ciò
che era stato offerto a noi dai nostri genitori.
Occorre però chiarire, che non è un fallimento imputabile a
noi persone, o generazione di persone, ma al fallimento delle politiche sviluppate
sulle linee guida mosse dall’ideologia che vede nel mondialismo, nell’alta
finanza e nella gabbia europea le colonne su cui poggiare l’avvenire del nostro
Paese.
Ho già scritto molte volte la mia contrarietà all’Unione
Europea, e se, in passato mi coglieva il timore di poter sbagliare, ora devo
dire che questa sensazione mi ha del tutto abbandonato.
È ormai chiaro a una quantità di persone ogni giorno
crescente, che, grazie a questa “Europa”, ci stiamo inesorabilmente
impoverendo.
Se non poniamo un argine ai flussi di denaro dovuti
all’importazione di beni e servizi da parte di nazioni che abbattono i costi di
produzione ignorando sicurezza, assistenza e formazione, con tassazioni sensibilmente inferiori alla nostra, entro
brevissimo tempo saremo tutti talmente poveri da perdere la capacità di
mantenere in pareggio ciò che siamo riusciti a costruire. In questo almeno,
saranno contenti coloro, che vivendo di invidia per il livello di benessere
altrui, si dicevano e si dicono tutt’ora seguaci dell’ideologia comunista, che
stabilisce nell’uguale distribuzione della più assoluta povertà tra tutti i
cittadini, il fondamento della “giusta” società!
La nostra è una Nazione, che nei secoli ha espresso civiltà
e tratto vantaggio dalla produzione di manufatti. Oggi però, scellerate scelte
politiche hanno decretato che è più conveniente importarli questi manufatti, a
basso costo dall’estero, guadagnando maggiormente dalla sola vendita sul
mercato interno.
È una politica miope, che si morde la coda da sola e che
“serve” esclusivamente l’alta finanza a lucrare sugli spostamenti dei capitali
da un mercato all’altro impoverendo nel contempo la gente comune. Una politica
che non crea una società migliore per trarre profitto dalla crescita generale,
ma distrugge quella esistente per pura speculazione!
Se le cose continueranno ad andare in questo modo, i nostri
soldi serviranno a pagare gli stipendi in altri stati e noi andremo sempre più
ad intaccare le riserve accantonate dalle generazioni precedenti.
I governi infatti, siano essi di destra che di sinistra, non
potendo più raccogliere denaro dalla produzione (distrutta ed alienata)
procederanno a tassare sempre più gli immobili e le proprietà private, ovvero
le case, i terreni, e i beni improduttivi.
Possiamo vederne gli effetti ormai a occhio nudo,
passeggiando per le nostre città, paesi e borghi, dove sono centinaia i
capannoni industriali ormai vuoti e dove aumentano ogni giorno i cartelli
“vendesi” affissi su immobili di ogni tipo, per i quali i proprietari non sono
più in grado di sopportare il peso della loro tassazione.
In un sistema di libero scambio e senza controlli, chi
detiene la capacità finanziaria può delocalizzare la produzione in aree del
mondo dove tasse e oneri sono meno elevati per poi commercializzare sul mercato
interno con guadagni maggiorati, senza apportare nessun beneficio e
miglioramento alla società italiana.
In questi anni, tutti i governi hanno provveduto a mantenere
colpevolmente ferma la barra in questa direzione, elargendo contributi tanto
costosi quanto inutili per sorreggere le industrie “strategiche” in crisi.
Contributi che, ancora una volta sono andati ad ingrassare i grossi gruppi e
grossi nomi dell’imprenditoria italiana, gettando nella polvere e nello
sconforto la media e piccola industria che non ha potuto attingere agli stessi
contributi e regalie.
Errore su errore insomma, perché il governo responsabile di
una Nazione sovrana, non può e non deve elargire sovvenzioni alle industrie (e
nemmeno a tutte) ma deve operare per mettere tutte le imprese nelle condizioni
di operare in regime di pulita concorrenza. Noi oggi non possiamo competere con
i costi cinesi o indiani, pertanto l’attuale sistema di libero scambio è un
abominio, un crimine contro il popolo italiano, di cui si sono macchiati tutti
coloro che hanno deciso e contribuito a decidere in tal senso negli ultimi
vent’anni!
Occorre fare rapida marcia indietro, riconsiderare e
ricostituire ciò che ormai viene considerato un tabù in questo Paese : Il
Protezionismo del mercato interno.
Perché il mercato interno di un Paese di oltre 60 milioni di
persone può ridare le ali alla nostra piccola e media impresa, trainando anche
la grande fuori da questo incubo.
Una politica protezionistica implica l’introduzione di dazi
che tutelino le nostre produzioni interne, rendendo meno convenienti, o meglio
ancora, non convenienti le delocalizzazioni all’estero.
I minori costi in percentuale dei prodotti provenienti
dall’estero rispetto ai nostri, devono essere bilanciati e compensati quindi,
con opportuna tassazione aggiunta. Ciò provocherebbe il ritorno alla produzione
nazionale, per il semplice fatto che, a parità di costo, i nostri manufatti
sono di qualità superiore.
Si otterrebbe l’incremento istantaneo dei posti di lavoro
(che tutti invocano soltanto a parole) e la creazione di un flusso di capitali
che permetta di abbassare la pressione fiscale interna rilanciando
contemporaneamente le spese in ricerca, da troppi anni abbandonate per non
incidere ulteriormente sui costi di produzione.
Chi può attuare questa completa inversione di rotta ?
Di sicuro, nessuno degli attuali politici legati a doppio
filo all’ideologia imperante dell’Europeismo, che si muovono soltanto nei
tracciati decisi per loro da Bruxelles, dalla BCE e dal “rigore” e dagli
interessi tedeschi. Occorre una nuova classe dirigente, che non abbia paura di
farsi dei nemici, di cantare fuori dal coro, operando esclusivamente per il
bene della nostra Patria e del nostro popolo.
Per fare ciò, occorrono idealisti si, ma anche persone
pratiche e reali. Che sappiano coniugare innanzitutto il progresso sociale alle
esigenze del popolo italiano, guardando alle nostre tradizioni, pregi e
difetti. Sbaglia infatti e continuano a sbagliare coloro che turandosi occhi e
le orecchie confondono le particolarità di ogni singolo popolo in un solo
calderone, desiderosi di fondersi o confondersi forse in un innaturale popolo
unico europeo.
Il distacco totale esistente oggi tra le necessità vere
delle persone e la surreale politica dell’ideologia mondialista di oggi invece,
condanna la nostra Italia alle periferie del terzo mondo, quelle sempre più
affollate di vecchi e nuovi poveri. Poveri in cerca non solo del denaro per
sopravvivere ma anche e soprattutto in cerca della la propria identità nazionale
perduta. Occorre ripartire da qui : siamo italiani, sempre e sopra ad ogni
altra cosa italiani!
Alberto Conterio - 18.12.2012
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