Interviste ad Alberto Conterio

martedì 18 dicembre 2012

Fine di un’illusione



Fine di un’illusione

Ricordo chiaramente quando, vent’anni fa, discutendo tra amici le prime avvisaglie di ciò che sarebbe poi diventata la globalizzazione dei mercati e il concretizzarsi dell’Unione Europea, unico contrario fin da allora, fui tacciato d’essere un retrogrado, che non comprendeva il fatto che il mondo stava andando avanti, offrendoci una serie infinita di possibilità prima sconosciute, che occorreva saper cogliere, mentre io ero fermo a guardarmi alle spalle. Da quel giorno, evitai sempre accuratamente di tornare sull’argomento per evitare di rovinare quelle amicizie ma… giustamente il mondo è andato avanti appunto.
Recentemente,  sono quindi tornato a pensare a quel periodo e a quelle discussioni.
Pur dispiacendomi di aver avuto ragione, facendo qualche rapido confronto, appare evidente che nessuno dei miei saccenti amici, ha tratto evidente vantaggio delle infinite possibilità offerte dal nuovo corso economico intrapreso. Per dirla in parole povere, nessuno di loro… è riuscito anche solo ad avvicinare il livello di benessere economico proprio,  ai valori raggiunti dalla generazione precedente. Un fallimento totale della nostra generazione quindi, che alla soglia dei cinquant’anni di età, ci vede ancora tutti incerti, anzi, sempre più incerti sul nostro futuro e sulle possibilità di offrire ai nostri figli, ciò che era stato offerto a noi dai nostri genitori.


Occorre però chiarire, che non è un fallimento imputabile a noi persone, o generazione di persone, ma al fallimento delle politiche sviluppate sulle linee guida mosse dall’ideologia che vede nel mondialismo, nell’alta finanza e nella gabbia europea le colonne su cui poggiare l’avvenire del nostro Paese.

Ho già scritto molte volte la mia contrarietà all’Unione Europea, e se, in passato mi coglieva il timore di poter sbagliare, ora devo dire che questa sensazione mi ha del tutto abbandonato.
È ormai chiaro a una quantità di persone ogni giorno crescente, che, grazie a questa “Europa”, ci stiamo inesorabilmente impoverendo.   

Se non poniamo un argine ai flussi di denaro dovuti all’importazione di beni e servizi da parte di nazioni che abbattono i costi di produzione ignorando sicurezza, assistenza e formazione, con tassazioni  sensibilmente inferiori alla nostra, entro brevissimo tempo saremo tutti talmente poveri da perdere la capacità di mantenere in pareggio ciò che siamo riusciti a costruire. In questo almeno, saranno contenti coloro, che vivendo di invidia per il livello di benessere altrui, si dicevano e si dicono tutt’ora seguaci dell’ideologia comunista, che stabilisce nell’uguale distribuzione della più assoluta povertà tra tutti i cittadini, il fondamento della “giusta” società!

La nostra è una Nazione, che nei secoli ha espresso civiltà e tratto vantaggio dalla produzione di manufatti. Oggi però, scellerate scelte politiche hanno decretato che è più conveniente importarli questi manufatti, a basso costo dall’estero, guadagnando maggiormente dalla sola vendita sul mercato interno.
È una politica miope, che si morde la coda da sola e che “serve” esclusivamente l’alta finanza a lucrare sugli spostamenti dei capitali da un mercato all’altro impoverendo nel contempo la gente comune. Una politica che non crea una società migliore per trarre profitto dalla crescita generale, ma distrugge quella esistente per pura speculazione!
Se le cose continueranno ad andare in questo modo, i nostri soldi serviranno a pagare gli stipendi in altri stati e noi andremo sempre più ad intaccare le riserve accantonate dalle generazioni precedenti.
I governi infatti, siano essi di destra che di sinistra, non potendo più raccogliere denaro dalla produzione (distrutta ed alienata) procederanno a tassare sempre più gli immobili e le proprietà private, ovvero le case, i terreni, e i beni improduttivi.
Possiamo vederne gli effetti ormai a occhio nudo, passeggiando per le nostre città, paesi e borghi, dove sono centinaia i capannoni industriali ormai vuoti e dove aumentano ogni giorno i cartelli “vendesi” affissi su immobili di ogni tipo, per i quali i proprietari non sono più in grado di sopportare il peso della loro tassazione.
In un sistema di libero scambio e senza controlli, chi detiene la capacità finanziaria può delocalizzare la produzione in aree del mondo dove tasse e oneri sono meno elevati per poi commercializzare sul mercato interno con guadagni maggiorati, senza apportare nessun beneficio e miglioramento alla società italiana.
In questi anni, tutti i governi hanno provveduto a mantenere colpevolmente ferma la barra in questa direzione, elargendo contributi tanto costosi quanto inutili per sorreggere le industrie “strategiche” in crisi. Contributi che, ancora una volta sono andati ad ingrassare i grossi gruppi e grossi nomi dell’imprenditoria italiana, gettando nella polvere e nello sconforto la media e piccola industria che non ha potuto attingere agli stessi contributi e regalie.
Errore su errore insomma, perché il governo responsabile di una Nazione sovrana, non può e non deve elargire sovvenzioni alle industrie (e nemmeno a tutte) ma deve operare per mettere tutte le imprese nelle condizioni di operare in regime di pulita concorrenza. Noi oggi non possiamo competere con i costi cinesi o indiani, pertanto l’attuale sistema di libero scambio è un abominio, un crimine contro il popolo italiano, di cui si sono macchiati tutti coloro che hanno deciso e contribuito a decidere in tal senso negli ultimi vent’anni!

Occorre fare rapida marcia indietro, riconsiderare e ricostituire ciò che ormai viene considerato un tabù in questo Paese : Il Protezionismo del mercato interno.
Perché il mercato interno di un Paese di oltre 60 milioni di persone può ridare le ali alla nostra piccola e media impresa, trainando anche la grande fuori da questo incubo.
Una politica protezionistica implica l’introduzione di dazi che tutelino le nostre produzioni interne, rendendo meno convenienti, o meglio ancora, non convenienti le delocalizzazioni all’estero.
I minori costi in percentuale dei prodotti provenienti dall’estero rispetto ai nostri, devono essere bilanciati e compensati quindi, con opportuna tassazione aggiunta. Ciò provocherebbe il ritorno alla produzione nazionale, per il semplice fatto che, a parità di costo, i nostri manufatti sono di qualità superiore.
Si otterrebbe l’incremento istantaneo dei posti di lavoro (che tutti invocano soltanto a parole) e la creazione di un flusso di capitali che permetta di abbassare la pressione fiscale interna rilanciando contemporaneamente le spese in ricerca, da troppi anni abbandonate per non incidere ulteriormente sui costi di produzione.

Chi può attuare questa completa inversione di rotta ?
Di sicuro, nessuno degli attuali politici legati a doppio filo all’ideologia imperante dell’Europeismo, che si muovono soltanto nei tracciati decisi per loro da Bruxelles, dalla BCE e dal “rigore” e dagli interessi tedeschi. Occorre una nuova classe dirigente, che non abbia paura di farsi dei nemici, di cantare fuori dal coro, operando esclusivamente per il bene della nostra Patria e del nostro popolo.

Per fare ciò, occorrono idealisti si, ma anche persone pratiche e reali. Che sappiano coniugare innanzitutto il progresso sociale alle esigenze del popolo italiano, guardando alle nostre tradizioni, pregi e difetti. Sbaglia infatti e continuano a sbagliare coloro che turandosi occhi e le orecchie confondono le particolarità di ogni singolo popolo in un solo calderone, desiderosi di fondersi o confondersi forse in un innaturale popolo unico europeo.
Il distacco totale esistente oggi tra le necessità vere delle persone e la surreale politica dell’ideologia mondialista di oggi invece, condanna la nostra Italia alle periferie del terzo mondo, quelle sempre più affollate di vecchi e nuovi poveri. Poveri in cerca non solo del denaro per sopravvivere ma anche e soprattutto in cerca della la propria identità nazionale perduta. Occorre ripartire da qui : siamo italiani, sempre e sopra ad ogni altra cosa italiani!

Alberto Conterio - 18.12.2012

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