Riforma del mercato del lavoro, crisi economica e povertà
La medicina sbagliata a un ammalato grave!
Mentre in queste ore si votano in Parlamento provvedimenti
in «favore del lavoro», o meglio, in favore della flessibilità del lavoro,
quale tentativo disperato di rilanciare l’occupazione, non posso che guardare
con curiosità i risultati di un recente studio dell’Ocse, proprio sugli indici
della flessibilità del lavoro nei paesi dell’Unione Europea. Ho una sorpresa!
Siamo abituati a pensare al mondo del lavoro italiano come
ad un pachiderma ingessato in rigidità assurde per colpa di mille ragioni,
invece dai dati Ocse ci si rende conto che l’Italia possiède già il mercato del
lavoro più flessibile d’Europa. Molto più rigidi di noi i soliti tedeschi che
pretendo di insegnarci come si fa!
Del resto basta riflettere un attimo… dove lo troviamo un
Paese in cui un lavoratore precario (a tempo, a progetto ecc. ecc.) guadagna
mensilmente meno di un lavoratore sotto regolare contratto a tempo
indeterminato. Siatene certi, non succede da nessuna altr’altra parte in
Europa.
Informarsi per credere. Cerco inoltre di spiegarmi il
comportamento incomprensibile del sindacato italiano: che siano solo ignoranti
oppure sono in malafede?
Ma allora la flessibilità ancora invocata a cosa serve? Non
certo a creare occupazione come cercano di dimostrare battaglioni di lacchè al
soldo delle multinazionali, perché la flessibilità (che sia in entrata o che
sia in uscita) non crea il lavoro che non c’è, ma serve soltanto a creare
ulteriore insicurezza tra i lavoratori favorendo ulteriori occasioni per
calmierare ancora salari e stipendi.
Altra cosa su cui occorre riflettere, è che la tanto
invocata flessibilità del mercato del lavoro è nemica della produttività e
della qualità della produzione. Personale demotivato da salari da fame,
dall’insicurezza sulla continuità del rapporto di lavoro e dalla palese
discriminazione nei confronti di lavoratori tutelati da alte forme di
contrattazione, non avrà mai lo stimolo necessario a perseguire una
produttività elevata, e meno che mai avrà lo stimolo a fare del suo lavoro un
lavoro di qualità.
Ma allora perché si desidera perseguire questa strada?
Perché la grande industria, le grandi multinazionali e
coloro che credono di poterle imitarle per salvarsi dall’annientamento (certo),
grazie alla estrema parcellizzazione del ciclo produttivo, non hanno bisogno di
lavoratori con una esperienza provata, motivati e fedeli. Per queste realtà, le
scimmie sono più che sufficienti, e chiunque può essere sostituito all’istante
con un soggetto meno pagato o meno tutelato! Al contrario, nelle piccole e
medie imprese, dove il valore aggiunto di personale addestrato è fondamentale
per ottenere alta produttività e qualità della produzione, la flessibilità non
è richiesta. In Italia, dove il nostro tessuto industriale è formato appunto da
medie, piccole e piccolissime imprese la flessibilità interna esiste già e la
riforma del mercato del lavoro così voluta non serve a nulla, anzi risulta
dannosa.
Se potessimo avere il lavoro che ci è stato tolto da un
cambio fisso imposto (moneta unica) dai Paesi del nord Europa, in cui a farla
da padrone sono le grosse multinazionali o le grandi e grandissime industrie,
nessuno in Italia penserebbe mai, o sentirebbe mai la necessità di una «nuova»
riforma del lavoro.
Nel frattempo, continua lo stillicidio di queste imprese,
che chiudono i battenti al ritmo di 1000 al giorno circa andando ad aumentare
il tasso di disoccupazione nazionale. Grazie a ciò, sono oltre 4 milioni le
persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel
2013, con un aumento del 10 per cento sull'anno precedente. È quanto emerge da
una analisi della Coldiretti sulla base del «Piano di distribuzione degli
alimenti agli indigenti 2013» realizzato dall'agenzia per le erogazioni in
agricoltura (Agea), in riferimento ai dati Istat sulle famiglie senza redditi
da lavoro.
Per effetto di questa «crisi economica», sono in aumento
esponenziale gli italiani senza risorse sufficienti a sfamarsi adeguatamente:
erano 2,7 milioni nel 2010, sono saliti a 3,3 milioni nel 2011 ed hanno
raggiunto i 3,7 milioni nel 2012.
Questo andamento negativo, in tutto similare al processo di
distruzione economica e sociale registrato in Grecia, Portogallo e Cipro,
causato dalle politiche imposte dalla Troika di Bruxelles, ha già raggiunto
livelli drammatici e rappresenta la punta dell’iceberg delle difficoltà che
incontrano molte famiglie italiane nel momento di fare la spesa.
Il taglio della spesa alimentare, ha portato i consumi
italiani indietro di trent'anni, e anche la tradizionale festa religiosa della
recente Pasqua, ha confermato questi sensibili cali nei nostri consumi
alimentari.
Secondo l'Istat, il
16,6 per cento degli italiani non può più permettersi una pasto con un
contenuto proteico adeguato una volta ogni due giorni. L'effetto più eclatante
della riduzione del potere di acquisto degli italiani é visibile proprio nel
taglio nei consumi alimentari che sono tornati indietro appunto di oltre 30
anni, ai livelli del 1981.
Imboniti a suon di slogan, ad aderire senza se e senza ma
alla religione alla moneta unica, con la promessa di un futuro migliore ci
ritroviamo dopo dieci anni circa a chiede l’elemosina agli angoli delle strade.
Siamo certi che il Prof. Mario Monti applaudirà all’enorme successo dell’euro e
della stabilità portata in dote dalla moneta unica come ebbe già modo di
dichiarare incredibilmente nel 2011, commentando la situazione Greca!
In Italia il lavoro non ha mai fatto paura a nessuno, il 25
maggio possiamo riappropriarci della nostra sovranità e quindi del nostro
lavoro con un semplice gesto.
Il messaggio all’Europa della finanza e al nostro governo di
euro-sognatori deve essere chiaro: Fuori dall’Euro SUBITO!!!
Alberto Conterio - 23.04.2014
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