La falsa rivoluzione del 1968
Cinquantesimo anniversario da non ricordare
Purtroppo quest’anno, ricorre il cinquantesimo
anniversario della rivoluzione socio culturale detta del ’68.
Il movimento nacque originariamente a metà degli anni
sessanta negli Stati Uniti e raggiunse la sua massima virulenza nell'Europa
occidentale nel 1968, soprattutto in Francia nel mese di maggio, conosciuto
appunto come “Maggio francese”.
Inutile girarci intorno o tentare di sminuire questo
evento: fu un taglio netto con l’ordine
precostituito precedente. Una linea di demarcazione che separò da quel momento
il passato dal futuro.
In tutto ciò, mi sento comunque bene con me stesso. Con
tutti i disastri di cui la mia generazione è stata responsabile e testimone,
questo fortunatamente, non può esserci attribuito. Aquella data, eravamo ancora
dei bambini. Ciò non toglie che le grosse sfide che oggi la nostra stessa
generazione è chiamata ad affrontare, quali l’aborto, l’omosessualità, l’agenda
gender, l’eutanasia e altre ancora, trovano le loro radici proprio in quel
periodo.
Analizzando con attenzione, possiamo affermare che non si
può considerare questa rivoluzione, come un movimento della base contro l’ordine
costituito del capitale come la si vuol far credere, ma una rivoluzione che ha
utilizzato la base per eliminare dall’ordine costituito ciò che era di
intralcio allo sviluppo più sfrenato del capitalismo.
Fino a quel momento, a partire dalla rivoluzione industriale,
le regole del mondo moderno si basavano sullo scontro di classe, come ben
specificato con la pubblicazione a Londra, del Manifesto del Partito Comunista
di Karl Marx e Friedrich Engels. Nonostante tutto però, anche Marx ed Engels,
non erano certo originali, in quanto avevano semplicemente ridefinito i criteri
e le denominazioni dello scontro classico tra oppressi ed oppressori.
Con la rivoluzione industriale, questo scontro viene
focalizzato tra la classe della borghesia e del proletariato. La borghesia,
classe rivoluzionaria per eccellenza a partire dal basso medioevo, si trova
proiettata nell'età moderna, dopo aver annientato la struttura economica e
politica allora esistente. Un sistema economico ormai inadeguato ed obsoleto al
frenetico ritmo dell’industria e del commercio, e si consacra classe dominante
a tutti gli effetti, essendo in costante ascesa sociale. Anche il proletariato
però, traeva beneficio da ciò. Edizione moderna della vecchia e superata
servitù della gleba, grazie al raggruppamento e all’organizzazione stabile
delle grandi industrie, acquisisce la cognizione della sua forza organizzandosi
in corporazioni e sindacati, aspirando e trovando anch’essa in molti casi un
miglioramento delle proprie condizioni di vita. Due classi in lotta, che
traevano però origine dalle stesse umili condizioni di partenza, e per questo
accomunate dalla stessa morale e dalle stesse regole.
Al contrario, tutti coloro che fino all’avvio della
rivoluzione industriale, potevano dirsi grandi e potenti, la grande
aristocrazia, i latifondisti, e magnati della finanza, i grandi armatori ecc.
presi alla sprovvista da questo fervore, e pur mantenendo i privilegi propri
della loro classe, diventano sicuramente meno importanti, per certi versi anche
superflui allo sviluppo della società. Uno sviluppo per il quale non provavano
necessità e interesse.
La rivoluzione del ’68 insomma, è la rivincita di
costoro. La rivoluzione del ’68 è l’emancipazione del grande capitale… per il
capitalismo. Un capitalismo assoluto, in cui si possa tornare alla situazione
stabile di oppressi ed oppressori di antica memoria, procedendo alla
distruzione di ogni valore precedente per azzerare la storia.
Non è un caso che il ’68 sia definita, rivoluzione post
borghese e post proletaria, perché è contro queste due classi che viene
scatenata.
La rivoluzione del ’68 quindi, viene attuata per
eliminare tutti i valori del mondo borghese e di conseguenza i valori del mondo
proletario, che sono in fondo i valori del buon senso comune:
Il matrimonio, la famiglia, lo Stato nazionale, la
religione, il lavoro fisso, i diritti sociali di base.
Si avvia nel ’68, la lotta contro l’autorità, in quanto
Nazione o confine che limita i mercati; contro il Padre di famiglia che
rappresenta l’origine e la storia, per togliere agli individui i punti fissi di
riferimento; la lotta contro la stessa famiglia, che rappresenta il nucleo
della società organizzata, l’ammortizzatore sociale naturale degli individui,
dove nascere e crescere protetti; contro il modello dei diritti dei lavoratori
organizzati, quale difesa al lavoro stabile e dignitosamente pagato e infine,
la lotta ai valori etici e religiosi, dalla quale le persone traggono il cibo
per l’anima, tanto immateriale quanto necessaria a fare la differenza tra persone
e bestie.
Tutto ciò serve a creare l’uomo nuovo… perfetta pedina
senza ricordi, senza valori, senza riserve etiche, facile preda della nuova
“religione”: il libero mercato.
Gli slogan urlati di allora, “vietato vietare”, o
“godimento individuale illimitato” rappresentano la punta della lancia con la
quale il grande capitale opera il sistematico abbattimento delle barriere e
delle limitazioni, contribuendo ad allentare prima e distruggere poi il tessuto
sociale coeso “del gruppo”, dalla quale le persone, seppur “limitate” traevano
beneficio e forza dalla collettività, per varare una società fatta di individui
singoli, sicuramente più liberi, ma soli davanti alle avversità del mondo.
Guarda caso, in occidente, la finanza, e le
multinazionali da allora non hanno più smesso di crescere in dimensioni e
forza, arrivando ormai a controllare non solo il mercato, ma le stesse economie
e politiche nazionali.
Concludendo, le rievocazioni e le manifestazioni in
ricordo di questa sciagura, sono ridicolaggini vergognose di quel residuo di
società, che già allora non era in grado di vedere oltre il proprio naso.
Persone usate come burattini contro il loro stessi interessi, che oggi
rappresentano il passato remoto di un futuro che non avevamo bisogno di
cercare. Un futuro che alla luce di quanto oggi succede ha cancellato il vero
futuro alla quale aspiravamo per migliorare non solo le nostre condizioni di
vita ma la nostra stessa interiorità. Invece di ricordare, sarà bene
dimenticare e rivedere totalmente la nostra organizzazione e la nostra società
per azzerare il pericolo di dover presto soccombere a tutto e a tutti.
Alberto Conterio - 07.05.2018
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