Benedetto XVI in Germania
Un grande discorso su ragione e politica in occidente
Chi mi conosce, sa bene che non sono un gran religioso, ma sa anche che ho sempre avuto una grande ammirazione per Benedetto XVI prima ancora che divenisse Papa, prevedendo la sua nomina ben prima che Papa Giovanni Paolo II morisse.
Ogni parola di Papa Ratzinger è da ascoltare e meditare, …pare scenda da un altro pianeta.
Il suo discorso al Bundestag tedesco però, è stato semplicemente grande.
Con la semplicità di un bambino, ha bonariamente tirato le orecchie ai politici presenti, bacchettando in fondo tutta la società occidentale, con argomenti senza possibilità alcuna di replica.
Consiglio a tutti la lettura integrale del testo del discorso, è semplicemente illuminante, ponendo quest’uomo un gradino sopra a tutti.
Alberto Conterio - 25.09.2011
Tratto da : “Il Foglio” on line
23 settembre 2011
Da tempo Benedetto XVI, regnante con ardente intelligenza e millenaria malizia sulla chiesa cattolica, parlava di Dio, e invitava a pregare e a espiare le colpe personali e della chiesa. Il Ratzinger teologico-politico, quello delle grandi battaglie di cultura e del discorso di Ratisbona, sembrava essersi immerso nelle profonde acque della sola fede. Faceva, il nostro amato Papa, quello che fecero i gesuiti all’inizio del Seicento, sotto il preposito Acquaviva, un geniale abruzzese, figlio del Duca d’Atri, che cercò di ricostruire in interiore homine e in nuove regole educative e di preghiera, la spiritualità dell’ordine che era messa in discussione dal multiforme contatto con il mondo, dopo la tempesta Luterana e il dramma del chiostro vissuto dal monaco agostiniano che aveva rotto l’unità del cristianesimo d’occidente con il suo tremendo genio religioso e la sua grandiosa eresia carica di modernismo.
Ieri, nello splendido discorso tenuto al Bundestag, il Parlamento della sua patria, è riemerso in chiara, mite e fulgidissima luce - la luce dell’intelligenza e della ragione - quel formidabile professor Ratzinger che fu eletto alla guida della chiesa di Roma su una piattaforma di lotta intellettuale ed etica alla deriva relativista e nichilista dell’occidente moderno. Che solo un Papa può salvare (altro che il Dio oscuro di Martin Heidegger).
Benedetto ha sorpreso tutti. Niente afflato pastorale minimalista, niente catechesi ordinaria, e invece un energico, nitido e straordinario richiamo alla sostanza di ciò che è politico, pubblico, e alla questione filosofico-giuridica di come si possa fare la cosa giusta, condurre una vita giusta, reggere governi e stati giusti, fare leggi giuste in un mondo che non dipende più dalla tradizione, dall’autorevolezza intrinseca della fede, ma dalla democrazia maggioritaria.
Nell’esordio scritturale c’era già tutto. Re Salomone chiede a Dio un cuore docile e la capacità di distinguere il bene dal male. E non ci sarebbe nulla da aggiungere. Ma quella soave e fatale domanda è svolta poi da Benedetto nei termini di una grande lezione filosofica, storica e teologica sui fondamenti, anzi sulla fondazione politica, della nostra cultura e della nostra idea di libertà, di umanità, di natura e di ragione. I giganti usano parole semplici e concetti alla portata di tutti, non sono esoterici, parlano al centro forte e realista dell’intelligenza umana. E così ha fatto il Papa, rivolto alle Damen und Herren del Bundestag. Evitando le polemiche, e accarezzando la verità come un bambino farebbe con un balocco di Norimberga. (La Germania si addice a Benedetto XVI come la Polonia si addiceva a Giovanni Paolo II).
Il discorso è lì, lo si legge nella doverosa pubblicazione integrale, e il suo significato è univoco. Non è un discorso intercettabile dalle polemiche e dai sofismi. Se siamo liberi, se siamo in un mondo laico, se siamo padroni del nostro destino è perché siamo cristiani.
Il cristianesimo non ha imposto come legge la Rivelazione, non è la sharia, non è uno spazio mitico per litigiosi dei. Alla base dei diritti umani, delle conquiste dell’Illuminismo, dell’idea stessa moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione, sta il percorso storico radicato nelle verità scritte da san Paolo nella Lettera ai Romani, in Agostino d’Ippona e nella cultura dei padri della chiesa. La dimostrazione è per tabulas, granitica in senso logico ma mai superciliosa, e culmina nella contestazione argomentata di una concezione positivistica del diritto, quella del grande giurista Hans Kelsen, che non riesce a trovare la strada di una vera giustizia quando teorizza che ogni norma corrisponde a una volontà, e dalla volontà esclude la misteriosa volontà di Dio, di un Creator Spiritus. Anche chi non ha la fede capisce che l’origine del tutto che noi siamo è misteriosa, che qualcosa di inconoscibile sta alla base di ciò che è, e che senza il riconoscimento dell’essere delle cose il pensiero e il mondo si frantumano in un delirio del soggetto che si fa lui creatore del mondo, e lo porta a sicura rovina.