Quale mondo del lavoro vogliamo riformare?
Accordi, rotture delle trattative e/o interminabili discussioni ai vertici, così come nelle trasmissioni televisive di approfondimento e su ogni pagina dei quotidiani per la riforma del mondo del lavoro, mi appaiono in questi giorni fotogrammi surreali di un tempo che fu, sfuggito prima ancora di capire che ci stava scappando di mano sotto agli occhi.
L’impegno del governo profuso nello scardinare il fronte disteso a difesa dell’art.18 da parete dei sindacati, che abbia o meno “successo” mi sembra piuttosto un accanimento terapeutico inutile, operato sul corpo di un moribondo. Bene che vada, servirà a spostare in avanti di qualche anno la data della sua definitiva morte!
Ho l’impressione che tutti - governo, politica, parti sociali e gli stessi lavoratori - abbiano perso di vista il punto focale del problema dell’argomento “lavoro”.
Siamo certi che il problema della competitività delle nostre aziende risieda nell’art.18, e che una sua “limata” qua e la, sia sufficiente a mettere loro le ali sui mercati mondiali?
E poi, …siamo convinti davvero che gli investitori stranieri evitano l’Italia preferendo il Bangladesh, l’India e la Cina, perché il mercato del lavoro italiano è condizionato dall’Art.18?
Se domani, come è auspicato, questo ostacolo fosse radicalmente rimosso dallo Statuto dei Lavoratori in Italia, l’occupazione crescerebbe magicamente ai livelli di vent’anni fa?
Se siamo davvero sicuri di questo “teorema”, perché parte dell’imprenditoria italiana - quella ancora sana e desiderosa di fare e di proporre - parla di concorrenza sleale o di prevalenti interessi commerciali che mortificano le capacità delle aziende che operano ancora sul territorio nazionale?
Se crediamo nella globalizzazione senza regole dei mercati, come alla possibilità che tutti possano simultaneamente arricchirsi, …forse siamo fuori strada.
È la stessa dinamica dei fluidi che ci viene in aiuto: mettendo in diretta comunicazione due serbatoi, uno pieno ed uno vuoto, non otteniamo due serbatoi pieni, ma essendo “ottimisti” soltanto due serbatoi “mezzi pieni”. Dal momento però, che sull’argomento penso di essere più realisticamente pessimista, parlerei di due serbatoi “mezzi vuoti”!
Riformiamo pure il mondo del lavoro quindi, con ogni provvedimento ritenuto indispensabile, eliminazione dell’art.18 compreso, ma se i due serbatoi continuano a restare in diretta comunicazione, l’Italia continuerà a vuotarsi delle sue risorse e capacità produttive. Ciò è chiaro anche agli asini, perché un operaio italiano non potrà mai sostentarsi con lo stipendio di un operaio del Bangladesh, ed un imprenditore che opera in Italia di conseguenza, non potrà mai competere sugli stessi mercati.
Ora, se lo scopo generale di queste politiche mondiali, è quello di ridurre l’Italia ed il resto dell’Europa ai livelli sociali ed economici delle aree in via di sviluppo del terzo mondo, possiamo affermare che l’obiettivo è vicino al raggiungimento, ma se, come spero per il futuro dei miei figli, l’attuale scopo del governo italiano, è quello di rilanciare il mondo del lavoro nazionale, tutte le discussioni sull’art.18 sono ideologiche, pretestuose e prive di utilità.
Occorrerebbe al contrario concentrarsi su come riportare in Italia il lavoro che abbiamo delocalizzato all’estero negli ultimi vent’anni - per pura speculazione commerciale - rilanciando la domanda interna e quindi in un circolo virtuoso la produzione nazionale di beni di consumo di qualità, con ogni mezzo, anche quelli protezionistici tanto avversati, e ricorrendo se necessario a rendere la nostra moneta un pò meno “forte”, come del resto hanno fatto negli Stati Uniti d’America negli ultimi anni a spese dell’Euro.
Ma pensiamo davvero che le serie aziende italiane – e sono ancora tantissime - tornando ai livelli produttivi degli anni ’80 e ’90, con i loro giusti margini di guadagno, necessitanti di assunzioni regolari per sostituire il personale dimissionario per raggiunti limiti di età, si preoccuperanno ancora dell’art.18, degli incentivi sulla rottamazione e di altre mille diavolerie utilizzate per puntellare un mercato che oggi, vede le sue fondamenta poggiate sulla sabbia dell’anarchia dei facili guadagni del neo colonialismo e dell’alta finanza?
Io dico di no, ma occorre fare in fretta!
Alberto Conterio - 20.03.2012