Generazioni bruciate
Scrissi nel dicembre dell’anno passato, la mia opinione
circa le origini della crisi italiana, che individuavo nella perdita dei valori
della società e in errori della politica, la molla scatenante l’attuale
situazione economica. Dopo circa dieci mesi è scoraggiante dover constatare che
la situazione non è per nulla migliorata, …anzi, e che a soffrirne sono
soprattutto le due generazioni attive, cioè, coloro che attualmente sono
produttivi (o dovrebbero esserlo) e i giovani in cerca di una loro strada o
collocazione.
Senza ripetermi nel cattivo giudizio espresso
sull’europeismo forzato, attuato in modo non democratico in favore della grande
finanza alla quale sono sempre stato contrario (non scettico) è mio desiderio
parlare esclusivamente di politica interna riguardante il mercato del lavoro.
Quando negli anni ’80 del secolo passato gli imprenditori
italiani (tutti gli imprenditori) guadagnavano molto bene e l’economia “tirava
alla grande”, alcuni, vollero guadagnare di più e di più ancora. La precedente
generazione di imprenditori benefattori infatti era ormai un ricordo. Costoro,
che avevano fatto grande il nostro Paese pur attraversando una guerra mondiale
perduta, oltre a guadagnare, ritenevano doveroso attuare nei confronti del
territorio che ospitava la propria azienda, positive ricadute sociali,
attraverso opere pubbliche, cultura, assistenza.
La nuova classe imprenditoriale invece, in accordo con una
la classe politica miope, compiacente e alla ricerca di sempre nuovi
“finanziamenti” (leciti ed illeciti), si prodigò, perché venissero varati
provvedimenti che, invece di ostacolare coloro che portavano lavoro, ricchezze
e conoscenze tecniche all’estero, li favorirono al punto che gli onesti
dovettero adeguarsi o accontentarsi della marginalità del mercato.
Così, per oltre vent’anni, mentre all’estero si adeguavano
gli stipendi dei lavoratori affinché costoro, contenti, aumentassero la
produttività e il livello qualitativo dei manufatti, in Italia si è preferito
sfruttare la mano d’opera del terzo mondo con compensi da fame (altro che il
passato colonialismo) per spacciare sui mercati del mondo intero, prodotti di
bassissima qualità ma dall’elevatissimo margine di guadagno.
Il bel gioco dura poco però, dice il proverbio a tal
proposito, perché i lavoratori italiani esclusi, non hanno avuto in cambio un
lauto vitalizio per incrementare il loro tenore di vita, ma solo un assegno a
tempo di cassa integrazione (a spese della società) con il quale occorre
ridurre i consumi per giungere a fine mese. Incredibile a dirsi, ma il mercato
interno cominciò a quel punto a contrarsi e ad entrare in crisi… l’acuta crisi
che perdura oggi !
Il giocattolo si ruppe insomma, ma, mentre gli imprenditori
con un Santo a Montecitorio, continuano ad allungare il panfilo (naturalmente
battente bandiera liberiana) ed i politici del malaffare e della corruzione
repubblicana, ad investire in immobili (privati) festini a tema (rimborsati)
e qualche poltrona ben pagata a fine
legislatura, i lavoratori e soprattutto il ceto medio italiano (il motore da
sempre del nostro Paese) sono rimasti con i cocci rotti in mano. Da tempo
infatti si arranca in un deserto riarso (il mercato del lavoro distrutto)
affossando ancor più l’economia reale.
E se all’estero in questi stessi anni, sono cresciuti i
servizi offerti alle famiglie, in Italia sono aumentate le tasse!
Un caro amico, ha concluso una sua recente poesia con queste
parole :
“…si spegne la speranza
Tramontano i sogni delle future generazioni.”
Mai una verità così ben espressa!
Alberto Conterio - 26.09.2012