Mondializzazione, ultima frontiera!
In questi ultimi anni, siamo testimoni di profondi
cambiamenti, che non sempre corrispondono ai nostri ideali o alle nostre
aspettative pratiche. Chi ha letto i miei articoli passati, sa che sono
contrario da sempre al processo di Unità Europea - politica o economica che sia
- al quale attribuisco per intero le cause della decadenza ormai irreversibile
della nostra economia, così come sono contrario alla globalizzazione dei
mercati ed alla forzatura della società multirazziale, alla quale attribuisco
la totale responsabilità dell’ormai avanzato stato di degrado del nostro
tessuto sociale e della nostra civiltà.
Non si fa fatica alcuna a trovare conferme a queste mie
opinioni, siano esse ideologiche, sociali, ed economiche, e Marcello Veneziani,
in un bellissimo articolo denuncia del 7 aprile scorso, dal titolo “Ungheria, è
di nuovo il 1956” pubblicato su “Il Giornale”, ha il pregio di evidenziare con
estrema semplicità questi concetti, facendo il parallelo tra “la macchina del
fango” utilizzata dai Sovietici per zittire chi pensava diversamente da loro
durante le proteste ungheresi del 1956, e l’odierna versione perbenista della
stessa “macchina” - a livello mondiale - per colpire chi, secondo loro, è reo
di ribellarsi al pensiero unico attuale. Un tempo, la dialettica e le idee
politiche potevano differire sensibilmente da interlocutore a interlocutore,
oppure da società a società, cosi come potevano essere differenti i valori
trainanti della società di un Continente rispetto ad un altro. Questo oggi non
esiste più, e gli scontri attuali sono puramente ideali, non cruenti ed anche
inconcludenti. Si basano infatti su sfumature dello stesso pensiero. Un
pensiero che diventa pertanto unico, come una strada ideale tracciata che
ognuno di noi segue volontariamente, per inerzia, per necessità oppure per
forza in quanto non ne sono previste altre.
Dialogando recentemente con un caro amico, alcuni giorni fa,
concordammo sull’opinione che l’ideale nostro di monarchia sempre fortemente
ostacolato, non lo è più solo dal pregiudizio popolare o dai nostri avversari
naturali e legittimi : i repubblicani. Oggi, è ostacolato soprattutto dallo
stesso processo mondiale di globalizzazione della società e soprattutto
dell’economia.
Ciò è ormai evidentissimo, in quanto con la monarchia, nel
terzo millennio, non si identifica più soltanto un diverso sistema
istituzionale del Paese - troppo riduttivo - ma si identifica una società
definita, con propri valori di libertà, dignità, storia, tradizione e civiltà.
Con la monarchia insomma, si identifica ormai la Nazione, come un organismo
statale indipendente avverso agli interessi economici globali della finanza
planetaria. La monarchia quindi con i valori che rappresenta diventa l’ostacolo
principale alla mondializzazione come e forse più del nazionalismo di un tempo,
che negli anni è stato generalizzato e criminalizzato dall’ipocrisia del
politicamentecorretto, equiparandolo socialmente a fattori ben più pericolosi
di ciò che ha rappresentato e rappresenta ancora.
E allora si spiega come mai dalla caduta del muro di Berlino
ad oggi, la volontà popolare di alcuni Paesi (quali ad esempio l’Albania, la
Bulgaria o l’Afghanistan) orientata a ritrovare nella loro storica monarchia i
valori di unità della nuova società post comunista o post talebana sia stata
emarginata e “sconsigliata” dalle potenze internazionali dal prendere quella
via, nel silenzio mediatico, così come oggi, la protesta popolare romena - nel
centro stesso di questa Europa che vorremmo “libera e democratica” - passi
assolutamente sotto inosservata. Questo succede perché sono proteste che hanno
la colpa di desiderare la restaurazione della monarchia nazionale, quale
antidoto alla crisi totale del sistema liberista che si era sostituito alla follia
comunista. La stessa crisi che attraversa anche la nostra Patria.
Di tutto ciò però, non si trova traccia alla televisione
italiana e sui giornali del nostro Paese, in ossequio ai poteri economici che
vedono nella repubblica globale, l’unico terreno fertile per i loro lauti
guadagni ed interessi.
Una battaglia impari la nostra ?
Può darsi che sia anche inutile e che i destini di tante
persone siano già decisi nel Consiglio di Amministrazione di qualche smisurata
multinazionale, ma vale la pena comunque continuare a testimoniare la
possibilità di una società migliore, …lo dobbiamo alla nostra dignità di uomini
liberi e ai nostri figli.
Alberto Conterio - 13.04.2012