“Noi amiamo
l’Europa ma noi odiamo l’Unione Europea”
Discorso di addio di Nagel Farage al Parlamento Europeo: “E’
una struttura non accettabile perché non rende conto agli elettori”
Il discorso d’addio di Nigel Farage al Parlamento europeo
– con il quale ha salutato l’Unione poco prima che il fatto fosse ufficiale,
non è stato come molti potevano pensare un semplice sfottò.
Al contrario, è stato un capolavoro di orazione. Il più
famoso e stimato politico britannico da sempre schierato contro l’Unione Europea
e la moneta unica ha voluto a modo suo condensare in quattro minuti (quello il
tempo concesso in aula) tutta una serie di argomenti e di spunti critici che
dovrebbero far pensare non solo chi l’ha sempre ammirato per la forza il
coraggio e la lungimiranza politica dimostrata in più di vent’anni di battaglia
contro le istituzioni europee, ma soprattutto i suoi detrattori e più acerrimi
avversari, cioè chi ha sempre creduto, e ancora crede, alla prospettiva di una
integrazione libera e democratica fra gli Stati del vecchio continente.
Con il suo fare divenuto un vero e proprio stile, ha
esordito con forza saltellando tra le parole, facendo presente che: “I miei genitori
avevano aderito con entusiasmo al mercato comune, ma che non avevano chiesto
una nuova bandiera, un nuovo inno e altri presidenti. Le prime forme di
cooperazione rafforzata tra gli Stati europei datano 1951 e 1957 (trattati di
Parigi e di Roma) e si connotano per l’istituzione di una “comunità” europea
del carbone e dell’acciaio e di una “comunità” economica europea (Cee). Si
trattava di accordi intelligenti e lungimiranti”
Farage quindi non è contro a prescindere, ma difende la
prima forma di “comunitarismo” interstatuale che aveva un senso e che funzionava
perché pensata per aiutare le economie dei Paesi. Quindi trattati che si
muovevano su un piano “economico”, non “politico”.
Poi Nigel Farage passa alla storia, asserendo che la
Comunità Economica Europea era la pratica traduzione del monito dell’economista
liberale francese Frédéric Bastiat: “dove non passano le merci, passano i
cannoni”. “La Cee, non pretendeva, l’impossibile dai popoli, vale a dire la
fusione a freddo di nazioni troppo diverse per diventare una cosa sola.
Moltissimi europei, singoli cittadini e interi popoli, hanno inizialmente
aderito con entusiasmo a questo progetto proprio perché non intaccava la loro
indipendenza e autonomia nazionale.”
Ma questo spirito è stato tradito dagli eventi successivi
afferma il politico inglese: “Il tradimento è consistito nell’aver traghettato
gli europei da quel disegno (comunitario e di matrice economica) a uno del tutto
diverso (unionista e di matrice politica) dove si è preteso di imporre un
presidente, una bandiera, un inno a persone e a nazioni che già ne avevano di
propri senza desiderarne, né averne mai desiderati di nuovi.” E dai banchi
dietro la sua postazione si levano applausi ed incitamenti dei colleghi
britannici in aula…
Farage prosegue, poi, con un’annotazione sul sedicente
processo democratico con cui si è arrivati a questa Unione: “Nel 2005 ho visto
la Costituzione scritta da Giscard d’Estaing e da altri, l’ho vista bocciata
dai francesi in un referendum e poi l’ho vista bocciata dagli olandesi in un
referendum e ho visto voi in queste istituzioni ignorarli, riportarla nella
forma del Trattato di Lisbona e vantarvi di averla fatta passare senza
referendum”. Anche in questo caso, chi può negarlo? La marcata tendenza delle
élite europee a portare avanti la missione integrazionista a dispetto delle
manifestate volontà popolari non è un’opinione, ma un dato di fatto” .
E a questo punto il suo discorso fa un salto ulteriore di
qualità, quando pone la domanda che tutti noi avremmo dovuto porci già molti
anni fa, se non fossimo stati ingannati da una informazione malata e da politici
venduti. Una domanda che oggi forse, suona drammaticamente tardiva: “Cosa
vogliamo dall’Europa? Se vogliamo commercio, amicizia, collaborazione,
reciprocità non abbiamo bisogno di una Commissione europea, non abbiamo bisogno
della Corte europea di giustizia, non abbiamo bisogno di tutte queste
istituzioni e di tutto questo potere”. Come dargli torto ancora una volta?
Magico Farage un gigante tra i burattini… e poi tuona: “L’Unione attuale è un
“termitaio” di burocrati il cui vertice pianifica i bilanci dei singoli stati
di semestre in semestre; e lo fa con una ossessione patologica per le virgole e
i decimali. Ancora una volta, non è ciò che gli europei, e i loro padri nobili,
avevano in mente quando pensarono al futuro dei propri paesi.”
Poi Nigel esclama: “Noi adoriamo l’Europa, ma odiamo l’Unione
europea, una struttura non accettabile perché non rende conto agli elettori”. E
in questa affermazione c’è tutta la forza e la verità di una persona che è si
felice del risultato raggiunto, ma è anche triste di dover far notare che il
progetto europeo è fallito. Questa è una verità in grado di spazzare via il
dubbio più grande: l’idea cioè, che gli euro-contrari, i populisti e i
sovranisti, debbano essere tutti necessariamente dei nazionalisti ottusi, poco
istruiti e bellicosi, pronti a scagliarsi gli uni contro gli altri. È vero il
contrario: la gran parte di essi ama l’Europa intesa come “comunità” di Stati
indipendenti e pacificamente cooperanti, ma non sopporta più questo tipo di
“unione” forzata fra gli stessi, calata dall’alto.
La conclusione del discorso di Farage, poi, è una metafora
perfetta di quanto egli ha detto, nei quattro minuti del suo intervento, e di
quanto è accaduto nei quarant’anni che abbiamo alle spalle. Nigel e i suoi
iniziano a sventolare delle piccole bandierine di carta del Regno Unito, senza
l’intenzione di offendere e provocare nessuno, ma il Presidente del parlamento indispettito,
gli toglie immediatamente la parola minacciandolo come una maestrina: “Se
disobbedisce alle regole, il suo microfono dovrà essere azzittito; per favore
rimuova le bandiere”. Ecco, le regole, quelle regole soffocanti che penalizzano
le differenze e tendono a costruire un cittadino europeo amorfo e senza
identità. Uno spettacolino ridicolo e allo stesso tempo drammatico, che mette
in evidenza come davanti al disastro economico, sociale e politico provocato
dall’unione, con milioni di disoccupati e milioni di nuovi poveri, le
istituzioni di Bruxelles si preoccupino esclusivamente di salvare le apparenze
e le formalità. Ecco cos’è oggi l’unione Europea, un’associazione
antidemocratica di rimozione coatta delle identità nazionali, ed io almeno
idealmente non posso che stringere la mano a Nigel Farage e sperare un giorno che
alche la Mia Italia, possa seguirne le orme!
Ci mancherai Nigel... senza di te il Parlamento Europeo ha
perso la parte sana, la parte critica, la parte migliore insomma.
Alberto Conterio - 02.02.2020
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